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Il principio di risultato nel nuovo codice dei contratti
Non è certo questa la sede per una trattazione compiuta del cd. principio di risultato introdotto al primo articolo del nuovo codice degli appalti, ma certo si può ben dire che detta norma rappresenta una vera pietra miliare di questo codice, perché assime al principio di fiducia e al principio guarda caso di libero accesso al mercato, costituendo lo strumento attraverso il quale tutte le norme del codice debbono esser interpretate nella loro applicazione. Ancor più, per espressa volontà del Legislatore costituisce lo strumento attraverso il quale viene giudicato l’esercizio del potere discrezionale.
Il principio di risultato, però, rispetto agli altri due sopra citati diciamo ha dei superpoteri e, precisamente con la sua forza degrada a corollario funzionale sia la concorrenza che la trasparenza, entrambe sempre per volere del legislatore ritenute funzionali per il raggiungimento dell’obiettivo. Cioè a dire se debbo raggiungere un risultato tanto in termini quantitativi quanto in termini qualitativi, la concorrenza e la trasparenza, comunque assicurate, possono subire una diminutio e sacrificarsi per il fine ultimo che una stazione appaltante deve assicurare. Diminutio, che all’interno delle norme è comunque gestita, prevedendo meccanismi di regolazione, temperamento e di compensazione (si pensi alla disciplina dell’appalto integrato e ancor più alla disciplina del nuovo cd. sottosoglia).
La scelta dei requisiti di partecipazione è fortemente condizionata dall’oggetto del contratto e dalle modalità con le quali questo debba esser eseguito e le tempistiche entro cui dovrà esser perfezionata l’esecuzione. La scelta di requisiti che possano rappresentare il contraente idoneo è necessitata, altrimenti si rischia di non avere la esecuzione. Negli anni, sul punto, abbiamo registrato una crescita di consapevolezza delle stazioni appaltanti che, diciamo, superando la sindrome del bando fotografia del concorrente già prescelto ( sindrome ancora presente, che non è riuscita a curare neanche la normativa sulla Anticorruzione), hanno realisticamente puntato a requisiti esperenziali in grado di esprimere le capacità e competenze degli operatori economici. Unica nota stonata è l’istituto giuridico dell’avvalimento, cioè il prestito dei requisiti speciali, molto sofferto dalle stazioni appaltanti ma anche dalle imprese che hanno investito sulle proprie capacità e competenze. Nato per far crescere la piccola e media impresa, spesso si è trasformato in uno strumento di elusione delle prescrizioni che regolano la partecipazione alla gara, con gravi ripercussioni in sede di esecuzione del contratto. Non ci si riferisce certo all’avvalimento cd. di garanzia che riguarda i requisiti di carattere economico e finanziario, quanto a quello cd. operativo che riguarda i requisiti tecnici necessari per potere partecipare, ma soprattutto eseguire.
La giurisprudenza
La questione della scelta dei requisiti di partecipazione è stata molto dibattuta sia in dottrina ma soprattutto nelle aule giudiziarie. Sul punto, costituisce giurisprudenza consolidata quella che vuole che “I requisiti di partecipazione ad una gara sono fissati dall’autorità amministrativa con ampia discrezionalità, sindacabile solo per manifesta arbitrarietà ed irragionevolezza [che, per quanto detto, non si ravvisano nella fattispecie], dovendo la loro previsione essere correlata a circostanze giustificate e risultare funzionale all’interesse pubblico perseguito (…) La direttiva 2014/24/Ue, d’altronde, prevede, con riferimento alle capacità tecniche e professionali, che “le amministrazioni aggiudicatrici possono imporre requisiti per garantire che gli operatori economici possiedano le risorse umane e tecniche e l’esperienza necessarie per eseguire l’appalto con un adeguato standard di qualità” (art. 58, par. 4), confermando l’impostazione secondo la quale la p.a. ha interesse ad incentivare la partecipazione alle gare di soggetti particolarmente qualificati, che garantiscano elevati standard qualitativi al fine di svolgere al meglio le prestazioni oggetto di gara. Pertanto, il punto di equilibrio del sistema non è dato dal numero di concorrenti operanti sul mercato in grado di offrire il prodotto richiesto, ma dall’esistenza o meno di una ragionevole e proporzionata esigenza del committente pubblico che giustifica la domanda di un prodotto offerto solo da poche imprese.” (cfr., Consiglio di Stato, sez. V n. 431/2023 e n. 5992/2023, n. 7649/2023,).
Sulla scia di questa posizione è stato affermato che "nella dialettica fra tutela della concorrenza e perseguimento dell'interesse pubblico primario l'amministrazione gode di un'ampia discrezionalità nella selezione dell'oggetto (e delle caratteristiche tecniche) dell'appalto, in funzione degli standards organizzativi e di efficienza delle relative prestazioni (in tesi anche molto elevati, purché non irragionevoli), dovendo l'offerta adattarsi alla domanda e non viceversa". Pertanto, "il punto di equilibrio del sistema non è dato, sulla base dell'argomentazione sopra richiamata, dal numero di concorrenti operanti sul mercato in grado di offrire il prodotto richiesto (uno, ovvero tre), ma dall'esistenza o meno di una ragionevole e proporzionata esigenza del committente pubblico che giustifica la domanda di un prodotto offerto solo da poche imprese".
Brevi considerazioni
In altri termini, oggi più che mai alla luce del disposto dell’art. 1 del dlgs 36/2023 dedicato al principio di risultato "l'interesse pubblico alla tutela della concorrenza portato dalla normativa sui contratti pubblici è funzionale comunque alla tutela dell'interesse dell'amministrazione all'acquisizione di beni o servizi destinati a soddisfare le specifiche esigenze della collettività di cui essa è destinataria, come definite nella lex specialis di gara. La natura del procedimento di evidenza pubblica come sede nella quale vengono create artificialmente le condizioni di concorrenza non deve infatti far perdere di vista la funzione del procedimento medesimo, che è quella, pur in un contesto concorrenziale, di acquisire beni e servizi maggiormente idonei a soddisfare l'interesse pubblico specifico portato dall'amministrazione aggiudicatrice".
Da ciò discende che "il sindacato ammissibile si incentra dunque sulla proporzionalità e ragionevolezza della scelta della stazione appaltante, perché il giudice non può sostituirsi alla stazione appaltante e scegliere, ma solo giudicare di una scelta che si manifesta affetta da eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche".