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Il caso
La questione prende le mosse (non a caso) da una gara di servizi, un appalto di mensa e refezione scolastica, classico contratto in cui la componente della manodopera riveste un ruolo fondamentale dal punto di vista economico ed esecutivo.
Dal momento che l’offerta della prima graduata è risultata anormalmente bassa, la stazione appaltante ha avviato la verifica ritenendo in particolare necessario “provvedere alla verifica della congruità del costo della manodopera dichiarato dal primo classificato stante la dichiarazione, sul punto, di un importo inferiore rispetto a quanto stimato dalla SA negli atti di gara, pur dando atto di applicare ai lavoratori impiegati nell’esecuzione dell’appalto lo stesso CCNL indicato dalla stessa SA”.
Acquisiti i chiarimenti sul punto e accertato che l’offerta rispettasse i minimi salariali retributivi, la stazione appaltante ha provveduto ad aggiudicare il servizio.
L’impresa seconda classificata ha impugnato l’aggiudicazione sostenendo che l’offerta della prima classificata avrebbe dovuto essere esclusa per violazione dell’art. 41, comma 14, del Codice che non consente di ribassare il costo della manodopera.
Le norme del Codice
Il nuovo Codice contiene un “pacchetto” di norme sparse a tutela dei lavoratori impiegati nelle commesse pubbliche e alcune di esse presentano carattere di novità rispetto al regime precedente.
In primo luogo, il Codice prevede che il contratto collettivo applicabile all’appalto sia selezionato e imposto dalla stazione appaltante che provvederà ad individuarlo secondo determinati criteri ben specifici (art. 11 e art. 41, comma 13): per contemperare tale previsione con la libertà di impresa, l’art. 11 consente ai concorrenti che applichino un diverso contratto collettivo di partecipare ugualmente alla gara con lo strumento della dichiarazione di equivalenza delle tutele. Tale soluzione, sebbene teoricamente apprezzabile, nella prassi sta generando molte difficoltà di applicazione sul concetto di equivalenza (retributiva, contributiva, di trattamento giuridico del lavoratore).
In ogni caso, il Codice prevede che, sulla base del contratto collettivo prescelto, la stazione appaltante stimi i costi della manodopera, specificando, all’art. 41, comma 14, che tali costi, al pari di quelli per la sicurezza, “sono scorporati dall’importo soggetto a ribasso”.
Tale previsione, ad una prima lettura, appariva chiarissima: la base di gara si compone di tre componenti: 1) costi vari del servizio, 2) costi manodopera e 3) costi per la sicurezza: il ribasso si poteva esprimere solo sulla prima componente, essendo le altre due “scorporate” dalla parte ribassabile.
Mettendo tale norma a sistema con le altre disposizioni del medesimo Codice, il quadro appare tuttavia molto meno nitido. Lo stesso art. 41, comma 14, infatti, ammette che “resta ferma la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale”: se i costi della sicurezza e della manodopera non sono ribassabili, non è chiaro quale differenza ci sia tra il ribasso sulla componente ribassabile (punto 1 del paragrafo che precede) e il ribasso complessivo, in quanto dovrebbero coincidere. L’art. 108, comma 9, a sua volta dispone che nell’offerta economica l’operatore deve indicare, a pena di esclusione, i costi per la manodopera: dal momento che tali costi sono stimati a monte dalla stazione appaltante (art. 41, comma 14) non si comprende tale previsione, peraltro rafforzata dalla sanzione dell’esclusione. In teoria, infatti, non essendo ribassabili i costi quantificati dall’amministrazione, i concorrenti non potrebbero far altro che riprodurli nel modulo dell’offerta economica.
Da ultimo viene in considerazione l’art. 110 che, nel disciplinare l’anomalia, prevede che le stazioni appaltanti debbano valutare la congruità, serietà, affidabilità, sostenibilità e realizzabilità della migliore offerta sulla base degli elementi specifici, inclusi i costi dichiarati ai sensi dell’art. 108, comma 9, vale a dire i costi della manodopera.
In questo quadro normativo frammentario e dissonante si sono inseriti il Consiglio di Stato, sebbene nell’ambito di una pronuncia relativa a procedure regolate ancora dal D.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT), l’ANAC e da ultimo la giurisprudenza amministrativa.
Le interpretazioni di Consiglio di Stato, MIT e ANAC
Il Consiglio di Stato, sez. V, 9 giugno 2023, n. 5665, ha osservato che “persino nel “nuovo Codice”, che in applicazione di un preciso criterio di delega di cui all’art. 1 comma 2 lett. t) della L. 78/2022, ha previsto “in ogni caso che i costi della manodopera e della sicurezza siano sempre scorporati dagli importi assoggettati a ribasso”, è stata fatta salva la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che un ribasso che coinvolga il costo della manodopera sia derivante da una più efficiente organizzazione aziendale così armonizzando il criterio di delega con l’art. 41 della Costituzione”.
Tale affermazione, se da un lato appare meramente riproduttiva del dato normativo (art. 41, comma 14), dall’altro, sia per il contesto in cui è collocata nel corpo della sentenza sia per il riferimento al principio costituzionale di libertà di iniziativa economica, sembra aprire spiragli interpretativi per il futuro.
Poco più di un mese dopo il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con parere n. 2154 del 19 luglio 2023, rispondendo ad un quesito specifico, ha chiarito che l’offerta economica non è costituita solamente dal ribasso operato sull’importo al netto del costo della manodopera, ma deve includere quest’ultimo costo al suo interno, essendo esso a tutti gli effetti una componente dell’offerta e in quanto tale soggetto a verifica.
A sua volta l’ANAC, con la delibera n. 528 del 15 novembre 2023, ha affermato che la lettura sistematica e costituzionalmente orientata dell’intero art. 41, comma 14, “non può che comportare la facoltà dell’operatore economico di dimostrare che la più efficiente organizzazione aziendale impatta sui costi della manodopera, diminuendone l’importo rispetto a quello stimato dalla Stazione appaltante negli atti di gara”. La stessa ANAC ha osservato ancora efficacemente che l’obbligo per il concorrente di indicare nell’offerta i propri costi della manodopera (art. 108, comma 9) non avrebbe ragion d’essere se questi non fossero ribassabili.
Nel solco di questi interventi normativi è intervenuto il TAR Firenze, sezione IV, con la sentenza 29 gennaio 2024, n. 120.
La sentenza del TAR Firenze
La pronuncia in commento riprende gli interventi sopra sinteticamente riportati, ritiene infondata la questione di legittimità costituzionale formulata dal ricorrente per violazione dell’art. 36 Cost. e afferma a chiare lettere che i costi della manodopera sono assoggettabili a ribasso, osservando che “se il legislatore avesse voluto considerare tali costi fissi e invariabili, non avrebbe avuto senso richiedere ai concorrenti di indicarne la misura nell’offerta economica, né avrebbe avuto senso includere anche i costi della manodopera tra gli elementi che possono concorrere a determinare l’anomalia dell’offerta”.
Il limite al potere di ribasso viene individuato nel rispetto dei limiti salariali, che costituiscono riferimento invalicabile. Nell’ambito dei parametri della contrattazione collettiva, dunque, l’operatore potrà dimostrare che il costo della manodopera inferiore rispetto a quello stimato dalla stazione appaltante deriva da una maggiore efficienza organizzativa o da soluzioni tecnologiche. Tali aspetti potranno essere vagliati in sede di verifica dell’anomalia in quanto il ribasso sui costi della manodopera non comporta l’esclusione, ma l’assoggettamento dell’offerta a tale verifica.
La continua evoluzione della giurisprudenza
La possibilità di proporre ribasso sui costi della manodopera nelle gare d’appalto, proprio per via della complessità del nuovo quadro normativo, verosimilmente sarà (ed invero è già) oggetto di analisi ed interpretazione da parte della giurisprudenza amministrativa.
La sentenza del TAR Firenze fornisce per prima una analisi di sistema in relazione alla citata fattispecie, tracciando un solco che sentenze successive (ad esempio, TAR Reggio Calabria, 8 febbraio 2024, n. 119) non sembrano smentire compiutamente, non offrendo, invero, una ricostruzione dell’apparato legislativo ed interpretativo altrettanto approfondita e, in termini, “eguale e contraria”.