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La legittimazione al ricorso amministrativo in recenti sentenze della Cassazione e del Consiglio di Stato
I ricorsi amministrativi prima che fondati nel merito devono essere proposti da chi ne ha titolo: questione affrontata anche di recente dalla Corte di Cassazione e dal Consiglio di Stato, con decisioni che però sottendono una visione del problema non del tutto allineata.
Si tratta, in sostanza, di stabilire in primo luogo quando chi ricorre possiede la cosiddetta “legittimazione al ricorso”, tale da differenziare la sua posizione da quelle di ogni altro cittadino o soggetto dell’ordinamento.
Nelle controversie ambientali ed urbanistiche, ma anche nel settore del commercio, per individuare questo elemento di distinzione si utilizza il fattore o criterio della “vicinitas”. In una recente vicenda relativa all’impugnazione, in sede di Tribunale superiore delle acque (giudice amministrativo specializzato), da parte di alcuni residenti nei comuni rivieraschi del Lago d’Idro, dei provvedimenti che autorizzavano l’esecuzione di opere spondali, la sentenza di questo giudice che negava la legittimazione è stata annullata dalla Corte di Cassazione (Ord. N. 18493/2021). Esito motivato sulla base del principio in base al quale il requisito della “vicinitas” è sufficiente al fine di radicare la legittimazione attiva e l’interesse a ricorrere avverso la realizzazione di un’opera, senza che occorra la prova puntuale della concreta pericolosità della stessa, né ricercare un soggetto collettivo che assuma la titolarità della corrispondente situazione giuridica, avendo peraltro – nel caso di specie – i ricorrenti altresì allegato le conseguenze dannose scaturenti, sotto il profilo della salute e dell’ambiente, dall’attuazione degli impugnati provvedimenti. Il requisito della “vicinitas” aggiunge così - secondo la Suprema Corte - l’elemento della differenziazione ad interessi qualificati. Interessi che appartengono a tanti soggetti facenti parte di una comunità identificata in base ad un prevalente criterio territoriale ed evolvono in situazioni giuridiche tutelabili in giudizio, allorché l’attività conformativa della Pubblica Amministrazione incida in un determinato ambito geografico, modificandone l’assetto nelle sue caratteristiche non solo urbanistiche, ma anche paesaggistiche, ecologiche e di salubrità.
Si tratta, come ben si comprende, di un criterio molto elastico, che lascia spazio a decisioni che aprono o chiudono le porte del ricorso al TAR a seconda di un giudizio soggettivo sulla distanza “adeguata/significativa” tra il luogo di residenza o di attività del ricorrente e quello in cui si realizzano gli effetti lesivi dei provvedimenti impugnati.
Altrettanto problematica è la questione della legittimazione al ricorso delle formazioni sociali, cioè delle associazioni o enti collettivi che operano in vari campi (ambiente, difesa dei consumatori e risparmiatori, professioni, cultura e ricerca scientifica). Qui si può segnalare un’importante apertura dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Sent. n. 6/2020) in base alla quale gli enti associativi esponenziali, iscritti nello speciale elenco delle associazioni rappresentative di utenti e consumatori oppure in possesso dei requisiti individuati dalla giurisprudenza, sono legittimati ad esperire azioni a tutela degli interessi legittimi collettivi di determinate comunità o categorie, e in particolare l’azione generale di annullamento in sede di giurisdizione amministrativa di legittimità, indipendentemente da un’espressa previsione di legge in tal senso. La stessa Adunanza Plenaria, in precedenza, ha riconosciuto che gli Ordini professionali sono legittimati a ricorrere al TAR per difendere gli interessi comuni alla categoria (Sent. n. 10/2011), sempre che non siano configurabili conflitti interni (Sent. n.9/2015).
Un percorso virtuoso di apertura all’accesso delle associazioni alla giustizia amministrativa che purtroppo conosce anche delle clamorose battute d’arresto, quale quella che ha visto negata – sulla base di una riduttiva lettura degli scopi sociali - la legittimazione in capo a un’associazione di avvocati specialisti riconosciuta dal Consiglio nazionale forense e ad una associazione di professori e cultori della stessa materia che contestavano gli atti di chiusura di un primario Istituto di ricerca e formazione operante nel medesimo settore e con il quale era in essere un rapporto di collaborazione (Cons. Stato, Sez. V, Sent.n.5779/2021).
L’accesso alla giustizia amministrativa: i presupposti sostanziali
Per capire meglio tutta la tematica è utile il richiamo all’art.113, comma 1, della Costituzione con una formula solenne stabilisce che “contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinnanzi agli organi della giurisdizione ordinaria o amministrativa” e il successivo comma 3 affida alla legge ordinaria di stabilire quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della P.A..
L’art. 7 del codice del processo amministrativo, approvato nel 2010, conferma che la giurisdizione amministrativa, esercitata dai TAR e dal Consiglio di Stato in sede di appello, si esercita in generale quando la controversia riguarda un interesse legittimo e, nelle specifiche materie indicate dall’art. 133 dello stesso codice o da altre norme, anche quando si richiede la tutela di un diritto soggettivo. L’identificazione di quest’ultima situazione è sostanzialmente più agevole rispetto a quando si chiede la tutela di un interesse legittimo, categoria non espressamente definita dal legislatore e aperta al variare dei rapporti che si instaurano, nei vari settori della vita sociale ed economica, tra cittadini e autorità pubbliche. Perché sia riconosciuto un interesse legittimo in capo ad un soggetto occorre che, sul piano sostanziale (quindi su un piano che precede e prescinde dalla lite e dal processo) vi sia una relazione con la P.A. differenziata rispetto a quella di tutti gli altri cittadini (presupposto della “differenziazione”) e presa in considerazione, cioè tutelata, dalla norma che regola l’esercizio del potere amministrativo (presupposto della “qualificazione”). Questa tutela comprende in genere una serie di poteri e facoltà del cittadino che gli consentono di partecipare attivamente al procedimento amministrativo, secondo le regole ed i principi della Legge n. 241 del 1990 ed in attuazione del carattere democratico del nostro ordinamento.
I presupposti processuali del ricorso al TAR
Perché un ricorso al TAR possa essere esaminato e deciso nel merito, occorre inoltre che siano riconosciute le c.d. “condizioni del ricorso”, che sono la legittimazione ad agire e l’interesse al ricorso. Qui l’analisi si sposta dal piano sostanziale al piano più direttamente processuale. Il primo presupposto riguarda l’identità fra il ricorrente e il titolare della posizione giuridica azionata (l’interesse legittimo o il diritto soggettivo nei casi di giurisdizione esclusiva), perché non può considerarsi legittimato chi è titolare di un semplice interesse di fatto o chi pretenda di agire nell’interesse di un altro soggetto. L’interesse al ricorso invece è la stessa figura che nel diritto processuale civile è definita interesse all’azione (art. 100 c.p.c.) e in questo ambito consiste nella concreta utilità che il ricorrente può conseguire dall’esito positivo della controversia.
Un auspicio per il futuro
L’Unione Europea ha recentemente fornito (Reg. 2020/2092 del 16 dicembre 2020) una chiara e fondamentale definizione dello “«Stato di diritto»: il valore dell’Unione sancito nell’articolo 2 TUE”. “In esso rientrano i principi di legalità, in base alla quale il processo legislativo deve essere trasparente, responsabile, democratico e pluralistico; certezza del diritto; divieto di arbitrarietà del potere esecutivo; tutela giurisdizionale effettiva, compreso l’accesso alla giustizia, da parte di organi giurisdizionali indipendenti e imparziali, anche per quanto riguarda i diritti fondamentali; separazione dei poteri; non- discriminazione e uguaglianza di fronte alla legge”.
Se vogliamo che il nostro paese possa dirsi interprete e paladino di questi valori, è necessario che l’azione dei pubblici poteri possa essere il più ampiamente possibile oggetto di un ricorso giurisdizionale, in una forma che non privilegi l’azione individuale, spesso non coltivata anche per impedimenti vari di ordine economico, sociale ed ambientale, ma dando ampio spazio proprio all’iniziativa delle formazioni sociali che meglio, con maggiore costanza ed incisività, possono svolgere il ruolo di difensori e garanti della legalità amministrativa.
I criteri elaborati fino ad oggi dalla giurisprudenza appaiono troppo elastici e soggettivi: meglio sarebbe che fosse il legislatore a definire con maggiore precisione nelle varie materie i fattori da considerare per ammettere la proposizione dei ricorsi giurisdizionali amministrativi.