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La formulazione menzionata a prima vista può apparire molto precisa, ma in realtà si declina in una pluralità di ipotesi differenti che continuano ad impegnare dottrina e giurisprudenza. Tradizionalmente rientrano in questa categoria cinque diverse ipotesi:
a) il difetto assoluto di giurisdizione (quando il giudice d’appello ha giudicato in materia di esclusiva competenza dell’amministrazione o comunque priva di garanzia giurisdizionale;
b) il difetto relativo di giurisdizione (quando il giudice amministrativo d’appello ha giudicato in materia attribuita alla giurisdizione del giudice ordinario;
c) l’eccesso di potere giurisdizionale (quando il giudice amministrativo d’appello ha travalicato i limiti esterni della propria competenza);
d) l’erroneo diniego della propria giurisdizione;
e) l’erronea composizione del collegio giudicante.
La terza figura, quella dell’eccesso di potere giurisdizionale, è quella che ha subito le più ampie oscillazioni interpretative, che hanno raggiunto un picco di estensione con le pronunce della Corte di Cassazione che hanno riguardato la questione della c.d. pregiudiziale amministrativa (tra le quali si segnala la Sentenza n. 30254 del 2008). In quella occasione si era pervenuti a censurare le decisioni del Consiglio di Stato anche per mancato esercizio del proprio potere giurisdizionale in presenza di contestati presupposti di ordine processuale per il relativo svolgimento. Oggi, oltre un decennio dopo, quel ciclo si può dire esaurito, come dimostra la recente sentenza delle Sezioni Unite n. 413 depositata il 14 gennaio 2020, la quale riporta la figura dell’eccesso di potere giurisdizionale in un ambito ben più ristretto, invocando a sostegno di questa diversa opzione l’indirizzo della Corte Costituzionale (Sentenza n. 6 del 2018). I fatti di causa affrontati da ultimo dalla Cassazione riguardano l’impugnazione di una sentenza del Consiglio di Stato (la n. 108/2019) di accoglimento di un ricorso in sede di ottemperanza con conseguente annullamento, per elusione del giudicato, di una delibera del Consiglio superiore della magistratura di attribuzione di un ufficio giudiziario direttivo (nel caso specifico di Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo aggiunto). Nel ricorso in Cassazione si sosteneva che il Consiglio di Stato avesse deciso la controversia esorbitando dai poteri del giudice amministrativo in sede di ottemperanza e comprimendo illegittimamente l’autonomia, di rilievo costituzionale, del CSM.
La sentenza perviene a respingere il ricorso, dichiarandolo inammissibile, in primo luogo avendo rilevato che il Consiglio di Stato non ha determinato nel caso specifico direttamente l’assetto di interessi, cioè operando la valutazione del candidato avente i maggiori titoli o attraverso la nomina di un commissario ad acta, ma ha semplicemente rimesso la decisione nuovamente al CSM, per dare attuazione al giudicato e alle indicazioni, vincolanti, ivi contenute. Più in generale, la Cassazione, richiamando un proprio precedente (sentenza n. 736 del 2012) ha ribadito che le decisioni del Consiglio di Stato in sede di giudizio di ottemperanza sono soggette al sindacato delle Sezioni Unite della Corte di cassazione sul rispetto dei limiti esterni della propria potestà giurisdizionale, tenendo presente che in tal caso è attribuita al giudice amministrativo una giurisdizione anche di merito. Al fine di distinguere le fattispecie nelle quali il sindacato è consentito da quelle nelle quali è inammissibile, è decisivo stabilire se oggetto del ricorso è il modo con cui il potere di ottemperanza è stato esercitato (limiti interni della giurisdizione) oppure se sia in discussione la possibilità stessa, in una determinata situazione, di fare ricorso al giudizio di ottemperanza (limiti esterni della giurisdizione).
Ne consegue che, ove le censure mosse alla decisione del Consiglio di Stato riguardino l'interpretazione del giudicato, l'accertamento del comportamento tenuto dall'Amministrazione e la valutazione di conformità di tale comportamento rispetto a quello che si sarebbe dovuto tenere, gli errori nei quali il giudice amministrativo può eventualmente incorrere, essendo inerenti al giudizio di ottemperanza, restano interni alla giurisdizione stessa e non sono sindacabili dalla Corte di cassazione.