04 Settembre 2024

La lotta alla corruzione in una prospettiva di diritto penale commerciale: evoluzione della materia a partire dal modello di compliance delineato dal decreto legislativo 231/2001 (parte 1)

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Abstract

Il saggio, vincitore della Essay Competition di ELSA Messina 2024 scritto da Costanza Pizzo, esplora l'inefficacia delle sole misure penali nel contrastare la corruzione in Italia, evidenziando come il fenomeno sia diffuso su più livelli sociali e non confinato alle sole figure pubbliche. Si approfondisce il ruolo dei modelli di compliance previsti dal Decreto Legislativo 231/2001 per le imprese, che promuovono responsabilità e prevenzione dei reati. Inoltre, si analizza il rafforzamento dei meccanismi di controllo nella Pubblica Amministrazione con l'introduzione di figure chiave come il Responsabile della prevenzione della corruzione, evidenziando l'importanza di un approccio integrato per combattere efficacemente la corruzione.

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Stando a indagini recenti, la corruzione in Italia costa circa 237 miliardi di euro all’anno1. Per dirigere un’offensiva efficace non solo nell’ambito della repressione delle singole rappresentazioni fenomeniche criminose, ma anche rispetto alla mentalità sociale generalizzata che circonda il tema della corruzione, un intervento in senso prettamente penalistico non sembra sufficiente. Questo perché le fattispecie di corruzione che vengono disciplinate agli articoli 318 e 319 del Codice penale non sono di per sé capaci di arginare una realtà che non trova il suo unico agente nel soggetto qualificato, dato che si realizzano attraverso la collaborazione diretta o indiretta di attori diversi: la corruzione è un fenomeno multilivello che si presenta in ogni strato sociale, senza distinzioni di reddito o attività. Il tema dell’origine della criminalità trova oggi più che mai una risposta negli studi di Sutherland: uno studio statistico privo di un’analisi del contesto dell’ordinamento giuridico in senso sociologico non può rispondere alle esigenze di valutazione criminologica; né ci si può perdere in risvolti meramente individualistici e patologizzanti, soprattutto rispetto ai crimini istituzionali ed economici. Nell’evidenziare il profilo assolutamente nuovo della criminalità dei colletti bianchi, Sutherland per la prima volta trova un’etichetta rilevante per riferirsi ad una forma di corruzione che esce dal confine degli ambiti privati e intacca perfino i fondamenti più profondi dello Stato.

Non a caso, quindi, le forme di intervento più recenti nella lotta alla corruzione vengono proprio dai modelli di compliance sviluppati per le imprese. In questo ambito, il primo punto essenziale della disciplina si rinviene nell’articolo 25 del Decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231: qui si prevede la responsabilità da reato delle imprese nell’ipotesi di corruzione propria ed impropria, ex articoli 318 e 319 del Codice penale, a cui si aggiungono le fattispecie di peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità e abuso d'ufficio; si ricollegano poi nella prassi le fattispecie di cui all’articolo 24, per le indebite percezioni e la truffa in danno dello Stato, e quelle all’articolo 25-octies, che prevede le ipotesi di ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita. Nella realtà sociale, infatti, il fenomeno corruttivo ha generali ricadute concrete che vanno oltre la mera lesione del buon andamento e dell'imparzialità della Pubblica Amministrazione; né si può configurare solo rispetto alla mera offesa alla generale fiducia che i consociati ripongono in chi eserciti funzioni pubbliche: il carattere plurioffensivo della corruzione lede, nella sua valutazione pratica, molti altri beni concreti, perché permette di ottenere vantaggi e privilegi.

Per lo stesso meccanismo, si può accompagnare ai fenomeni corruttivi anche la fattispecie prevista all’articolo 25-septies, relativa all’omicidio colposo per la mancata osservanza delle disposizioni in materia di igiene e sicurezza sul lavoro previste dal Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81. In questo senso, il modello di compliance della 231 offre uno schema di responsabilità fondata sull’effettivo impegno speso dall’impresa per impedire che i soggetti fisici che la compongono possano dare luogo a fenomeni criminosi: la fictio si incentra sull’attribuzione alla società di una forma di volontà soggettiva che trova la sua realizzazione nei programmi di prevenzione e in particolare nel modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo. Il modello organizzativo è lo strumento che permette all’azienda di individuare i maggiori fattori di rischio concretamente presenti nella gestione societaria, al fine di prevenire che questi possano divenire terreno fertile per azioni criminose. Per fare un esempio, si potrebbe presupporre che un soggetto in posizione apicale che svolge determinate funzioni atte alla redazione del bilancio si trovi in una situazione particolarmente vantaggiosa per la commissione del reato di falso in bilancio. Al modello organizzativo si deve poi aggiungere un sistema di controllo interno effettivo2, che si occupi di verificare che tutte le attività svolte dall’impresa si stiano svolgendo nel rispetto della normativa nazionale e sovranazionale. Nelle aziende di grandi dimensioni, dove il rispetto della 231 è più evidente a fronte di rischi maggiori, i controlli di questo tipo sono routinari e si fa riferimento a modelli preimpostati con un’indicazione chiara dei criteri di indagine. Si individua quindi un Organismo di vigilanza, che generalmente è costituito da soggetti esterni e indipendenti per un controllo più severo e da un soggetto interno che svolge l’attività di internal audit.

Rispetto al fenomeno corruttivo generale, un passo rilevante in questa direzione nell’ambito della pubblica amministrazione si ha con la legge 6 novembre del 2012, n. 190: il comma 7 dell’articolo 1 disciplina la figura del Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, il quale gode di piene autonomia ed effettività, al fine di poter esperire correttamente il suo ruolo di controllo. Vengono quindi fissati anche gli obiettivi strategici in materia di prevenzione, che costituiscono elemento essenziale della programmazione strategica e del Piano triennale per la prevenzione della corruzione. Interviene alla fine l’OIV, ossia l’Organismo Indipendente di Valutazione3, che monitora il funzionamento generale del sistema: a riprova della vicinanza all’originale modello privato, anche nel settore pubblico prevede che il responsabile non si limiti alla realizzazione di un modello idoneo nella sua formulazione teorica ed astratta, ma verifichi anche l’efficace attuazione del piano e ne proponga la modifica qualora ciò risulti necessario.



1 Come emerge da una ricerca internazionale portata avanti dalla Rand Corporation.

2 Ved. Sentenza Cassazione Penale, Sezioni Unite, 18 settembre 2014 n. 38343

3 Previsto dal d.lgs. 33/2013, sostituisce i servizi di controllo interno

 
 

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