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All'alba del Covid
Da mesi gira questa vignetta tragicomica sul web:
L’Unione Europea dice agli Stati membri: “Vuoi lasciarmi le chiavi del tuo appartamento, in caso di emergenza?”
E gli Stati: “No, so badare a me stesso!”.
Poco dopo, gli Stati all’Unione Europea: “Perché non hai dato da bere alle mie piante? Sei inutile ed è tutta colpa tua!”[1].
Questo breve scambio di battute riassume piuttosto fedelmente le relazioni tra Stati Membri e Unione Europea all’indomani dell’emergenza Covid-19 e dell’adozione di misure in risposta alla pandemia.
Uno sciame di critiche si è sollevato in tutta Europa lamentando la mancanza di misure di coordinamento e di reazione adatte a risolvere una crisi comune, e i nazionalisti di diversi Stati membri si sono uniti in coro per denunciare a gran voce ancora una volta l’inutilità dell’UE. (I nazionalisti hanno un problema: sono i primi a criticare l’Europa, e allo stesso tempo sono coloro i quali le richiedono di più quando ce ne è bisogno.)
È sembrato allora che all’indomani della pandemia, molti Stati membri si fossero dimenticati del passato, un passato neanche troppo remoto, che li ha visti protagonisti nelle scelte di (non)crescita dell’Unione Europea.
Basti pensare che nel 2002 il ministro irlandese Bruton, guardando all’influenza spagnola, chiedeva in sede di Commissione Europea più poteri all’Unione Europea nell’eventualità di far fronte a una pandemia globale. Al suo intervento gli altri membri risposero ridendo.
Tra i referendum del 2004 che bloccarono l’entrata in vigore di una Costituzione Europea -un Trattato sostitutivo di tutti i precedenti che avrebbe dovuto eliminare il carattere “in between” dell’Unione - vi furono i referendum negativi della Francia e dei Paesi Bassi; quegli stessi Paesi Bassi che oggi, governati dal primo ministro Rutte, hanno (nuovamente) bloccato l’evoluzione dell’UE, e in particolare la mutualizzazione dei debiti tra gli Stati d’Europa.
Ora o mai più
Allora oggi, sembra paradossale, ma pare il momento storico perfetto per tornare a discutere e proporre una nuova Costituzione Europea: una nuova struttura dell’Unione, un nuovo modo di agire a livello sovranazionale, di pensare in maniera comunitaria.
Da un lato, infatti, la pandemia ci ha dimostrato quanto abbiamo bisogno gli uni degli altri.
Considerata però la memoria corta degli europei, bisogna agire in fretta. Chi sa se ci ricorderemo, infatti, tra un paio di anni dei 27 miliardi dell’Eurofound, della sospensione del Fiscal Compact Act, della compravendita per oltre 750 miliardi di titoli di stato da parte della BCE, del MES senza condizionalità, dei 250 miliardi della Cassa di Integrazione Europea-SURE, del fondo di 250 miliardi dell’European Investment Bank, dei finanziamenti europei nella ricerca di cure al virus, dello sblocco di mascherine e di supporti sanitari, della libera circolazione e dello scambio di medici e pazienti tra Stato a Stato? Oppure osanneremo l’arrivo dei dottori albanesi senza ricordarci che dietro vi è il coordinamento (nonché il compenso) del Meccanismo Europeo di Protezione Civile?
Dall’altro lato, la Brexit, suo malgrado, è doloroso ma doveroso dirlo: ci ha tolto di mezzo un partner scomodo. Quel cugino che non sta simpatico a nessuno (né tu a lui, si badi), ma che continui a invitare ai pranzi di Natale, perché, che devi fare? È tuo cugino. Pensate a tutti gli opts-out del Regno Unito: dal rifiuto di vedersi applicare la Carta dei Diritti fondamentali di Nizza, al rifiuto dell’introduzione della moneta euro, al rifiuto del Patto di Stabilità del 2012. Insomma, il problema dell’“Europa a due velocità”, che anche a causa dei capricci dell’UK ha spesso minato l’uniformità dell’azione europea, potrebbe essere stato risolto una volta per tutte.
Quale occasione migliore quindi per procedere ad una nuova Costituzione e realizzare così finalmente quella solidarietà di fatto e quel processo di integrazione step by step, inaugurato 70 anni fa con la Dichiarazione Schuman?
Pensiamo dunque al nostro futuro, senza cadere nell’errore dei nazionalisti di dimenticarci del nostro passato. Dopo questi mesi di stop, pensiamo ad una rinascita, all’Unione che vorremmo.
Lo pensiamo perché abbiamo capito che dell’Unione ne abbiamo bisogno tutti: ieri era la Germania in post-unificazione nel 1989, i Paesi dell’est Europa dell’ex blocco sovietico nel processo di allargamento del 2004, la Grecia nella crisi del debito pubblico del 2008, la Francia con l’antiterrorismo del 2016, oggi l’Italia col Covid-19.
Una nuova Costituzione europea
Una nuova Costituzione europea deve quindi designare una nuova Unione. La priorità oggi, chiaramente, è quella di risolvere il lack di competenze dell’Unione Europea in materia di a) salute e b) questioni finanziarie.
In secondo luogo, una nuova Costituzione europea dovrebbe mirare alla semplificazione delle Istituzioni. Uno dei grandi problemi dell’UE è che i cittadini non conoscono tutto quello che l’Unione fa per loro, non possono comprenderne le funzioni, né il complesso riparto di competenze. Come si fa ad avere un Consiglio dell’Unione Europea, che è diverso dal Consiglio Europeo, ed entrambi che non devono assolutamente essere confusi col Consiglio d’Europa? Dal momento in cui vi è un Parlamento Europeo a tutela degli interessi dei cittadini; una Commissione Europea chiamata ad agire nell’interesse esclusivo dell’Unione; è mai possibile che gli interessi nazionali debbano essere rappresentati dal Consiglio dell’Unione Europea, dal Consiglio Europeo e dagli Eurogruppi? Sono davvero necessari tutti questi attori, o costituiscono semplicemente un rallentamento nella realizzazione di politiche comuni, proprio a causa di questa disparità strutturale?
E ancora, a proposito di semplificazione, bisognerebbe ripensare con urgenza alla procedura di adozione di un atto legislativo europeo. Per citare il professor Giuseppe Tesauro, il processo decisionale europeo, infatti, non è una “corsa ad ostacoli”, ma piuttosto “una passeggiata ad ostacoli”, vista la sua lentezza e arzigogolo[2].
Sarebbe, poi, ormai ora di eliminare i resti dell’intergovernamentalismo in seno all’UE, e sostituire la votazione all’unanimità e il veto, con il metodo comunitario e la votazione a maggioranza degli Stati, in ogni settore di politica dell’UE.
Infine, nonostante le perplessità di Olanda e Germania, sarebbe necessario procedere al completamento dell’Unione monetaria iniziata negli anni 90 con la messa in comune dei budget nazionali. Si risolverebbe così una volta per tutte le problematiche legate all’impossibilità della BCE di rispondere alle crisi di insolvenza nazionali negli shock asimmetrici, come quello da Covid[3].
L’Unione Europea alla fine è nata da un’Europa distrutta, dalle ceneri rimaste della II Guerra Mondiale. Non è forse possibile che il suo destino sia quello di risorgere dopo queste grandi tragedie? Se è vero che dopo la quarantena saremo tutti migliori, non è lecito aspettarsi lo stesso dall’Unione?
[1] Thanks to Dietmar Pichler.
[2] Per chi fosse interessato a divertirsi coi vari steps della procedura legislativa ordinaria, si rinvia all’art. 289 TFUE
[3] Sui benefici di un’Unione monetaria completa si rinvia a Paul de Grauwe “Economia dell’Unione monetaria”, il Mulino.