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La responsabilità civile: dal fatto illecito al danno ingiusto
La responsabilità civile, quale imprescindibile strumento di giustizia sociale e risoluzione dei conflitti, è stata da sempre oggetto di approfondita riflessione, con speciale riguardo alle funzioni che dovrebbero guidarne l’azione.
In particolare, il passaggio dall’art. 1151 c.c. del 1865 all’art. 2043 del testo del 1942 ha segnato un’evoluzione del focus responsabilistico dall’ingiustizia del fatto, che si faceva coincidere con l’illiceità della condotta, all’ingiustizia del danno.
Così, se nel primo caso la necessaria violazione di un obbligo giuridico preesistente rivelava lo spirito prettamente sanzionatorio del dettato normativo, mirante a punire il colpevole dell’illecito, oggi il baricentro dell’impianto precettivo è la riparazione dell’ingiusta lesione in capo al danneggiato, in chiave eminentemente ristorativa dello status quo ante[1].
Non a caso il risarcimento viene a coincidere, per le obbligazioni tanto di fonte contrattuale (art. 1223 c.c.) quanto extra-contrattuale (art. 2056 c.c., che richiama lo stesso 1223 c.c.), con il solo danno emergente e lucro cessante.
Partendo da questi presupposti letterali e teleologici, a lungo la finalità riparatorio-compensativa è stata l’unica funzione demandata alla responsabilità civile.
Tale scelta di campo non è, tuttavia, priva di risvolti critici. Vi si potrebbe leggere la presenza di un «elemento di vantaggio del danneggiante», che «non deve subire un sacrificio maggiore di quello cui è andato incontro il soggetto danneggiato»[2].
Questo, parafrasando Calabresi, potrebbe portare a compiere una valutazione economica delle conseguenze della commissione dell’illecito, orientando l’agire della persona secondo una bussola patrimonialistica anziché etico-legale[3].
I punitive damages
In suddetto quadro, non è difficile ravvisare la ratio che ha condotto per lungo tempo i giudici dei più alti consessi a escludere la legittimità di previsioni dei c.d. punitive damages, spesso maldestramente tradotti come “danni punitivi” ovvero “danni esemplari”, benché, come sottolinea a più riprese Di Majo, sarebbe più corretto parlare di “risarcimenti punitivi”, giacché la punizione non è nel danno ma nel risarcimento che ne consegue.
Questi sono, invece, ampiamente riconosciuti in Paesi di common law, nei quali, per un fatto (tort) "grave o riprovevole" commesso con dolo e/o malafede (malice) o colpa grave (gross negligence), la quantificazione del risarcimento può essere investita di un ruolo sanzionatorio dell’individuo e deterrente nei confronti della collettività.
Proprio attraverso il filtro degli ordinamenti anglosassoni il tema torna nel panorama giuridico italiano, chiamato a delibare sentenze straniere che abbiano espresso condanne in tal senso.
Qui, recentemente, è sembrata essersi aperta una breccia.
Un costante orientamento giurisprudenziale[4] negava la compatibilità dei punitive damages con l’ordine pubblico, che funge da uno dei limiti per il riconoscimento di sentenze straniere, ex art. 64 della L. 31/05/1995, n. 218.
Ordine pubblico che, appunto, la Cassazione (ex multis Cass. civ., Sez. I, 28 dicembre 2006, n. 27592 in Foro It., 2007, 6, 1, 1789) ha inteso come quello «formato da quell'insieme di principi, desumibili dalla Carta costituzionale o, comunque, pur non trovando in essa collocazione, fondanti l'intero assetto ordinamentale [...], tali da caratterizzare l'atteggiamento dell'ordinamento stesso in un determinato momento storico e da formare il cardine della struttura etica, sociale ed economica della comunità nazionale conferendole una ben individuata ed inconfondibile fisionomia».
In un pioneristico tentativo di overruling, nel 2016 un’ordinanza interlocutoria della Cassazione, del 16 maggio, n. 9978, sollecita sul punto l’intervento del Consesso riunito, asserendo l’assenza di qualsiasi contrasto, stante la «dinamicità e polifunzionalità» della responsabilità civile interna.
Le Sezioni Unite risponderanno con la sentenza 5 luglio 2017, n. 16601, statuendo che anche nel nostro sistema «alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria».
Non a caso il legislatore in diverse norme ha investito il meccanismo risarcitorio di questo sfaccettato afflato.
Ne sono esempi l’art. 96 c.p.c. per la lite temeraria, la previsione di un astreinte nell’art. 140, comma 7, del D. Lgs. n. 206/2005 (Codice del consumo), l'art. 125 D. Lgs. n. 30/2005 (Codice della proprietà industriale) nei casi di violazione del diritto di proprietà industriale, l’art 28, D. Lgs. n. 150/2011 sulle controversie in materia di discriminazione.
Lo stesso art. 2056 c.c. chiama il giudice, in presenza di dolo o colpa grave, a parametrare la liquidazione equitativa del danno tenendo conto di "tutte le circostanze" del caso concreto, ovvero della condotta tenuta dal convenuto.
Tuttavia, le medesime Sezioni Unite smentiscono che siffatta apertura muti l’essenza dell’istituto aquiliano, laddove, in ogni caso, le imposizioni di natura patrimoniale sono sottoposte a riserva di legge (ex art. 23 Cost.), limitando il soggettivismo giudiziario.
In questo senso, la pronuncia smorza l’apparentemente rivoluzionaria portata della loro riflessione, che rimane limitata ai casi di delibazione, incapace di penetrare realmente più a fondo nel tessuto dell’ordinamento civilistico.
La compensatio lucri cum damno
L’input delle Sezioni Unite n. 16601/2017 viene ripreso da quattro importanti sentenze a Sezioni Unite del 2018 in tema di clcd: in data 22 maggio, la n. 12564, n. 12565, n. 12566, n. 12567.
La questione è tanto più rilevante se si pensa che la clcd discende quale corollario implicito dalla natura compensativa della responsabilità civile, ex art. 1223 c.c., che prescrive la risarcibilità del danno consistente in tutto e solo il lucro cessante e danno emergente.
Le sentenze riguardavano casi in cui al danneggiato spettavano, per un medesimo fatto produttivo di danno, due attribuzioni patrimoniali, da due soggetti diversi e in base a due titoli differenti.
In proposito, le citate decisioni dispongono che le poste dei diversi emolumenti sarebbero compensabili solo in presenza di taluni requisiti, fra i quali la previsione ordinamentale di un meccanismo surrogatorio o di rivalsa nei confronti dell’autore dell’illecito.
Diviene necessario, infatti, un bilanciamento fra il principio di indifferenza e un principio di razionalità ed equità che permea il sistema.
Quest’ultimo si vedrebbe svilito da un ingiustificato vantaggio del debitore danneggiante, tenendo conto della valenza anche sanzionatoria e deterrente della responsabilità, ribadita dalla summenzionata pronuncia del 2017.
Conclusioni
Non si possono considerare casuali questi interventi da parte delle Sezioni Riunite su temi così intimamente connessi alla natura funzionale della responsabilità.
Sebbene permangano critiche autorevoli, come quella di Trimarchi, tese a ribadire l’inesistenza, nel diritto italiano, di previsioni responsabilistiche imponenti il pagamento di somme di danaro in mancanza di danno ed in funzione puramente punitiva, è sempre più chiaro come il principio di integrale riparazione del danno possa «scontrarsi con gli obbiettivi di deterrenza irrinunciabili in un moderno sistema di responsabilità civile»[5]: «è la vera equità temperatrice del summum jus»[6].
[1] G. Alpa, La responsabilità civile. Principi, Torino, Utet Giuridica, 2012, 50 ss.
[2] A. Di Majo, La responsabilità civile nella prospettiva dei rimedi: la funzione deterrente, in La funzione deterrente della responsabilità civile alla luce delle riforme straniere e dei Principles of European Tort Law, a cura di P. Sirena, Milano, Giuffrè, 2011, 17 ss.
[3] G. Calabresi, Costo degli incidenti e responsabilità civile, Milano, Giuffrè, 2015, V ss. e 56ss.
[4] Ex multis, App. Venezia, 15 ottobre 2001, in Riv. dir. internaz. priv. proc., 2002, 1021 ss.; Cass. civ., Sez. III, 19 gennaio 2007, n. 1183, in Resp. civ., 2007, 4, 373; Cass. civ., Sez. I, 8 febbraio 2012, n. 1781, in Giur. It., 2013, 01, 126.
[5] G. Ponzanelli, La irrilevanza costituzionale del principio di integrale riparazione del danno, in AA.VV., Giustizia costituzionale e responsabilità civile, ESI, Napoli, 2006, 69.
[6] L. Barassi, La teoria generale delle obbligazioni, vol. II, Giuffrè, Milano, 1946, 742.