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Origine ed evoluzione della meritocrazia
Il concetto di Meritocrazia trova la sua genesi in un opera del 1958 di un sociologo inglese di nome Michael Young. In “L'avvento della meritocrazia” (nome della suddetta opera) questo termine viene coniato con uno scopo prettamente distopico. Esso definisce una forma di governo alla cui base vengono posti due valori:
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Il Quoziente intellettivo;
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La produttività.
Ad un primo impatto, legato principalmente al nostro modo “moderno” di concepire il termine, queste due variabili non possono che portare ad un sistema equo. Così però non è, infatti Young descrive questa forma governativa come fortemente iniqua, sia dal punto di vista sociale che economico. La sua opera, viste le premesse, finisce inevitabilmente per concludersi con una rivoluzione sociale. Tale evento rappresenta l’ineluttabile conseguenza della disperazione in cui le classi meno “meritevoli” sono state gettate da coloro i quali avrebbero dovuto simboleggiare l’élite della società.
Successivamente il termine riceve una totale mutazione semantica. Dagli anni settanta in poi questa locuzione ha lo scopo di contraddistinguere un insieme di valori il cui scopo primario è quello di valorizzare l’individuo che, attraverso le sue doti naturali e il suo impegno, riesce a distinguersi dagli altri. Tali caratteristiche non comprendono affatto la posizione sociale in cui si nasce e ciò fa sì che ognuno possa sperare di raggiungere i propri obbiettivi anche se non dovesse disporre di mezzi economici adeguati.
Grazie a questa forte connotazione ideologica questo termine diviene sempre più un leitmotiv riecheggiante nei discorsi politici ed economici. Qualsiasi impresa o personaggio di spicco si cinge di tale fregio con lo scopo di rappresentare o rappresentarsi come portatore di un sano rimedio al nepotismo, male apparentemente incurabile ed inestirpabile del nostro sistema. L’utilizzo così massiccio e diffuso della parola meritocrazia ha portato, in tempi recenti, ad un suo rigetto. Ciò è legato inesorabilmente alla perdita di significato che innumerevoli usi incauti e spregiudicati portano con sé. Molte sono le personalità che oggi parlano di questa parola considerandola seducente ma forse vuota di significato. A tali critiche, dando uno sguardo alla realtà fattuale, non si può che dare credito.
Una nuova visione di Meritocrazia
Per dare nuovamente lustro e significato a questo termine, ammesso che lo si voglia denaturare dal suo significato primordiale, bisogna necessariamente svolgere diverse operazioni al fine di ottenere una nuova mutazione semantica. Quest’ultima deve necessariamente scontare diversi passaggi:
1.Il distaccamento dall’attuale concetto di meritocrazia. Ciò è necessario considerando come questo termine, oltre a presentare i vizi precedentemente citati, sia troppo legato oramai ad una visione del mondo ipercompetitiva, dove chi possiede talento (dote non legata all’arbitrio umano) debba raggiungere il risultato massimo lavorando unicamente per se stesso. Questa concezione non può che penalizzare il concetto di socialità, creando così individui atomistici il cui unico scopo è quello di esseri i primi sempre e a qualsiasi condizione.
2.Un maggior adeguamento a principi etici e costituzionali. Una volta liberato questo termine dalla precedente visione esso finisce per essere spoglio e necessita di nuovi significati. Per questo non può che venirci in aiuto la Costituzione che rappresenta un baluardo a difesa di valori da perpetrare nel tempo. Bisogna dunque valorizzare l’individuo, le sue capacità e il suo impegno seguendo le orme tracciate dal secondo comma dell’art.4 (1), ma contemperando ciò con i doveri di solidarietà presenti in limine dell’art. 2 (2).Questo al fine di ottenere quella che si può definire una “meritocrazia solidale”, capace non solo di lodare colui che raggiunge la meta, ma anche di non lasciare a se stesso chi fallisce provandoci.
3.Una nuova visione dei valori. È necessario infine spostare l’asse dei valori esaltati dalla meritocrazia. Bisogna considerare che meritano di essere promosse e valutate anche doti di matrice non necessariamente economico-produttiva. Ciò è maggiormente necessario in un contesto sociale come quello contemporaneo, in cui si sta man mano assumendo consapevolezza dell’importanza di fattori esogeni (ad es. sostenibilità ambientale, qualità della vita) che sono spesso diametralmente opposti a quelli di natura economica.
In conclusione attraverso questa nuova categorizzazione si potrebbe finalmente usare il termine meritocrazia con un accezione positiva, capace di tener maggiormente conto non solo della produttività e dell’individualità, ma anche del fattore umano. Tutto questo risultava già molto chiaro al padre di questo termine che nella sua opera sentenziava così: “Gli uomini, dopotutto, si distinguono non per l'uguaglianza ma per l'ineguaglianza delle loro doti. Se valutassimo le persone non solo per la loro intelligenza o la loro efficienza, ma anche per il loro coraggio, per la fantasia, la sensibilità e la generosità, chi si sentirebbe più di sostenere che lo scienziato è superiore al facchino che ha ammirevoli qualità di padre, o che l'impiegato straordinariamente efficiente è superiore al camionista straordinariamente bravo a far crescere le rose?”.(3)