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Nella parte I del presente articolo si è tentato di analizzare il lungo percorso che ha condotto all’attuale conformazione del codice di rito in materia di riesame delle misure cautelari reali. Come ivi sottolineato, la stratificazione normativa ha prodotto non poche incertezze in relazione alla corretta interpretazione degli artt. 324, co. 7, e 309 c.p.p.; l’opinione della giurisprudenza a Sezione Unite (cfr. sent. n. 18954/2016), seppur da molti criticata, è stata nel segno della continuità con la giurisprudenza di legittimità antecedente alla novella legislativa del 2015. I giudici di legittimità, infatti, hanno ribadito la natura recettizia, non formale, del rinvio operato dall’art. 324 c.p., il quale non può essere inteso nel senso di consentire la trasposizione, anche alle misure cautelari reali, delle novità normative introdotte con le leggi n. 332 del 1995 e n. 47 del 2015 dal legislatore.
Si esclude, in particolare, che alle misure reali sia applicabile il regime caducatorio nell’ipotesi in cui il P.M. non trasmetta tempestivamente gli atti al tribunale del riesame, nonché il divieto di rinnovo della misura stessa in assenza di “eccezionali esigenze cautelari”.
La lettura delle Sezioni Unite è stata recentemente ribadita dalla sentenza n. 52157/2018 della terza sezione della Cassazione, la quale ha escluso l’esistenza di una frizione tra la normativa in materia di misure cautelari, come interpretata dai giudici di legittimità, e gli artt. 24 e 111 della Costituzione, in relazione al diritto di difesa ed all’esigenza di ragionevole durata del processo penale.
Può essere utile, dunque, richiamare i principali passaggi argomentativi dei giudici di legittimità che hanno portato ad escludere l’estensibilità del nuovo comma 10 alle misure cautelari reali.
- Manca un richiamo espresso, nella L. n. 47 del 16 aprile 2015, al co. 10 dell’art. 309 c.p.p. Nel modificare il testo dell’art. 324, co. 7, c.p.p., si osserva, la legge menziona espressamente solo i commi 9 e 9 bis, non invece il comma 10, che, in quest’ottica, resterebbe escluso dal richiamo. Data la precedente lettura della disposizione quale norma di rinvio recettizia, dunque, la circostanza che il legislatore non abbia reiterato l’indicazione del comma 10 tra le disposizioni applicabili alle misure reali lascerebbe presumere che la disciplina per queste ultime operante continui ad essere quella antecedente alla riforma del 1995.
- Il legislatore del 2015, nel modificare anche l’art. 311 c.p.p., ha inserito all’interno di tale norma il comma 5 bis, in virtù del quale si prevede che al mancato rispetto dei termini per il deposito in cancelleria degli atti e per l’assunzione della delibera finale consegua la caducazione della misura cautelare anche in sede di ricorso per Cassazione avverso quest’ultima. Una simile previsione, tuttavia, non è stata prevista dall’art. 325 c.p.p., che regola il ricorso avverso le misure reali. Non avrebbe senso, secondo i giudici di legittimità, prevedere la perdita di efficacia dello strumento cautelare solo in sede di riesame, senza che la stessa sanzione possa ricorrere quando si presenti un ricorso, con la previsione di una caducazione esclusivamente “in prima battuta”.
- La pronuncia richiamata si sofferma, infine, sulla previsione dell’art. 309, co. 10, nella parte in cui richiede, ai fini della reiterazione della misura già decaduta, la sussistenza di eccezionali ragioni cautelari. Una simile previsione, osserva il collegio, apparirebbe priva di significato se rapportata alle misure reali, ed in particolare al sequestro preventivo di cui all’art. 321 co. 2 c.p.p. L’ammissibilità di tale misura, infatti, presuppone l’esistenza di un periculum in re ipsa, potendo questa essere disposta solo su beni assoggettabili a confisca. Il giudizio di pericolosità, in tale sede, coinciderebbe con il vaglio dei presupposti per la confiscabilità dell’oggetto, sicché non avrebbe senso il riferimento all’eccezionalità delle esigenze cautelari; unica verifica da effettuare per il giudice che le dispone, infatti, è il probabile nesso di pertinenzialità tra il bene ed il reato, ai sensi dell’art. 240 c.p.
La lettura dei giudici di legittimità, in conclusione, ha escluso in radice che le consistenti innovazioni prodotte dalla riforma del 2015, soprattutto in termini di garanzia per l’indagato e di speditezza nella definizione di situazioni giuridiche, possano avere ripercussioni anche in materia di misure reali, data l’irragionevolezza che caratterizzerebbe il sistema complessivo laddove si ritenesse che l’art. 324, co. 7, c.p.p. abbia natura di rinvio formale.
Non sembra dubitabile, ad ogni modo, che anche il sistema così creatosi presenti notevoli falle.
Innanzitutto, infatti, l’attuale conformazione del codice di rito richiederebbe al lettore la conoscenza del testo originario del co. 10, ormai non più in vigore per le misure personali da quasi trent’anni. Appare illogico, del resto, ipotizzare che l’art. 324, co. 7, c.p.p., nel richiamare i commi 9, 9 bis e 10 dell’art. 309 c.p.p., esprima un rinvio formale rispetto ai primi due (o, quanto meno, alle norme ivi contenute nella loro attuale formulazione), ed un rinvio recettizio, riferibile alla disposizione antecedente al 1995, rispetto al terzo. Possono, infine, muoversi all’art. 324 c.p.p. così interpretato le stesse critiche che avevano ispirato il primo intervento legislativo: risulta incongrua, infatti, la previsione di un termine perentorio (quello di dieci giorni per la decisione da parte del tribunale del riesame) che muova da un dies a quo variabile, e che peraltro dipenda dall’esclusiva volontà dell’organo che ha richiesto l’applicazione della misura, ossia il pubblico ministero.
Pare evidente, in definitiva, come, in relazione alle misure reali, la scelta legislativa di avvalersi della tecnica del rinvio non risulti idonea a garantire le esigenze di certezza e tutela che sarebbero necessarie nell’ambito di una materia comunque delicata. Pur in assenza di una lesione a diritti fondamentali ed inalienabili dell’individuo, infatti, non è dubitabile come anche l’applicazione di un sequestro possa dimostrarsi particolarmente afflittiva e pregiudizievole per il destinatario; si attende ancora, dunque, un intervento chiarificatore del legislatore, che possa portar luce su una disciplina estremamente complessa ed intricata.