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Sentenze di San Martino 2008
Nella storia della genesi dell’istituto del danno non patrimoniale, le Sentenze di San Martino del 2008, hanno segnato un notevole punto di approdo.
In particolare, Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, l’11 Novembre 2008, chiamate in causa per dirimere un contrasto giurisprudenziale esistente in seno alla Corte stessa - concernente l’ammissibilità o meno del danno esistenziale - hanno disposto l’archiviazione del danno esistenziale e ricondotto ad unità la categoria del danno non patrimoniale.
Nell’iter motivazionale della pronuncia in esame, i giudici ermellini hanno statuito che il danno non patrimoniale si risolve in una categoria unitaria omnicomprensiva, quindi, non suscettibile di suddivisione in sottocategorie[1]; il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale, danno esistenziale), risponde ad esigenze puramente descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte sottocategorie di pregiudizio non patrimoniale. È compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato e procedere alla liquidazione dello stesso nel rispetto dei principi dell’integrale risarcimento e del divieto di duplicazione risarcitoria.
La richiesta di intervento chiarificatore delle Sezioni Unite riveniva la sua ratio nella esigenza di mettere ordine nel sistema composito, complesso ed articolato del danno non patrimoniale che, complici gli apporti della dottrina, della giurisprudenza e del legislatore, tra loro spesso non coordinati, aveva finito per rappresentare un coacervo di principi di difficile dominio.
Sentenze di San Martino 2019
I principi di diritto sanciti nelle Sentenze di San Martino 2008, candidati a fungere da “nuovo statuto” del danno non patrimoniale sono stati sin da subito disattesi[2], sia dalla giurisprudenza successiva, in particolare quella di legittimità (che a più riprese è intervenuta affermando l’autonomia ontologica del danno morale rispetto al danno biologico) sia dal legislatore (che con la L. n. 124/2017 modificando l’art. 138 cod.ass. ha ricompreso nella nozione di danno non patrimoniale il cd. danno dinamico-relazionale, dando nuova vita all’ormai tramontato danno esistenziale).
Ed allora è comprensibile come, la Terza Sezione Civile della Suprema Corte, in veste di sezione specializzata nel settore del risarcimento del danno alla persona, nel decennio successivo alle sentenze di San Martino 2008, abbia voluto fissare i singoli punti sui quali elaborare un programma più certo per il risarcimento del danno non patrimoniale.
Questo insonne esercizio regolativo della Terza Sezione Civile è culminato con il deposito di dieci sentenze (cc.dd. sentenze-decalogo), in data 11 Novembre 2019[3], in materia di malpractice medica[4].
Attraverso le cc.dd. sentenze decalogo, la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, ha svolto un ruolo di nomofilachia, istituzionalmente spettante alle Sezioni Unite.
Dalla rassegna di queste sentenze emerge l’inversione di rotta della Suprema Cassazione, che a differenze di quanto statuito nel 2008, ora propende per la scindibilità del danno non patrimoniale in singole voci di danno, che comunque denominate, ai fini del risarcimento necessitano di opportuna allegazione probatoria.
Conclusioni
Ma siamo proprio sicuri che si sia verificato un vero e proprio discostamento, tra il dictum delle Sezioni Unite del 2008 e la Terza Sezione Civile del 2019?
Dieci anni sono un arco temporale sufficientemente lungo per redigere un bilancio.
Si tratta, per usare un termine alla moda, di operare un fitness check quanto alla tenuta sul piano applicativo dei criteri di decisione enunciati dalle Sezioni Unite nel 2008.
A sommesso avviso di chi scrive, la divaricazione rispetto all’impostazione delle Sezioni Unite 2008 è solo apparente, dal momento che anche la più recente evoluzione giurisprudenziale ha mantenuto ben presente il senso profondo dell’intervento del 2008, ovvero quello di affermare, nella sua pienezza di estensione, i principi della necessaria integralità della riparazione del danno alla persona e del divieto di duplicazione risarcitoria.
La Corte di Cassazione, sopita in questo insonne esercizio nomofilattico in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, sembra aver voluto assumere il compito proprio della dottrina e cioè quello della costruzione delle categorie che l’interprete deve utilizzare per ordinare il sistema in cui opera.
[1] D. Poletti, La dualità del sistema risarcitorio e l’unicità della categoria dei danni non patrimoniali, in Resp. civ. e prev., 2009, p. 76.
[2] F. Bilotta, Le sentenze di merito dopo le Sezioni Unite del 2008 sul danno non patrimoniale, in Resp. civ. e prev., 2009, p. 1499.
[3] P. Stanzione, Il danno non patrimoniale a dieci anni dalle sentenze di S. Martino, in Comparazione e diritto civile, Gennaio 2019, p. 2 ss.
[4] S. Sica, B. Meoli, P. Stanzione, Commentario alla legge 8 Marzo 2017, Edizioni Scientifiche Italiane, 2018.