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In che modo, secondo lei, sarebbe possibile rispettare l’obiettivo 16 dell’Agenda Onu 2030 di garantire a tutti un reale accesso alla Giustizia e quali misure ritiene indispensabili?
Presidente Nardo
L’accesso alla giustizia è un obiettivo fondamentale ma tutt’altro che a portata di mano. I cambiamenti e la crescente complessità delle società moderna aprono spazi di tutela sempre più imprevedibili, il che determina un aumento della domanda di giustizia la quale, però, è ostacolata da ragioni di malinteso efficientismo unite alla cronica penuria di risorse. Il rimedio deve, pertanto, da una parte, salvaguardare la qualità del servizio giustizia affinché la stessa non sia sacrificata sull’altare della velocità; dall’altra parte, destinare all’apparato giudiziario adeguate risorse umane e tecnologiche, agevolando inoltre le tante forme di giustizia complementare, realtà già esistente e rodata, in grado di alleggerire il carico che grava sulla giustizia statale.
Essenzialmente, appare necessario superare una sorta di blocco ideologico che pesa su di noi come un macigno. Per far questo si deve volgere lo sguardo al futuro immaginando una giustizia capace di trovare il giusto equilibrio tra il capitale umano e l’automazione. Dunque, più magistrati, certo; più cancellieri, certo; ma in ogni caso persone capaci di lavorare in team, e non per spingere carrelli stracolmi di carte polverose ma per attivare procedure di lavoro organizzato in modo tale da accrescere (anziché diminuire come si fa adesso) gli spazi di accertamento dei fatti in contraddittorio e quelli di elaborazione della decisione da parte del giudice.
Presidente Triggiani
Il rispetto dei diritti fondamentali delle persone deve essere efficace, e dunque reale, il che comporta che tutti hanno diritto ad un ricorso effettivo per la tutela dei loro diritti davanti ad un giudice, e ad un processo equo, entro un termine ragionevole, con un giudice precostituito indipendente e imparziale, con un difensore garantito anche per i meno abbienti. Sono principi internazionali oltre che nazionali, che ci derivano dalla Carta dei diritti fondamentali dell'U.E.
Ciò detto, la legislazione italiana dovrebbe migliorare - per rendere effettivi questi diritti e tenere fede all'impegno dell'Agenda Onu 2030 - in termini di: durata dei processi, garantendo maggiori risorse alla giustizia, sull'accesso alla giustizia spesso gravato da costi insostenibili, sulla giusta equa e dignitosa remunerazione per l'attività di patrocinio a spese dello stato per i difensori dei meno abbienti.
Sovraffollamento delle carceri: nonostante nel 2020 si sia assistito a una decisa diminuzione dei crimini commessi e anche all’adozione di misure alternative al carcere rese necessarie dalla crisi pandemica, la tendenza di breve periodo evidenzia un allontanamento dal target proposto. A suo avviso, quali interventi sarebbero necessari per migliorare l’attuale situazione?
Presidente Nardo
Il sovraffollamento delle carceri è un fenomeno che, per quanto venga periodicamente affrontato quando i numeri diventano insostenibili, comunque si ripropone dopo poco tempo e sempre uguale a sé stesso. Questo significa che non si può continuare ad affrontarlo con provvedimenti tampone e, soprattutto, con la riserva mentale di riprendere a riempire le carceri per andare incontro alla giustificata domanda di sicurezza della società civile. Occorre invece spiegare bene che il sistema rieducativo ispirato all’art. 27 della Costituzione risponde proprio a questa domanda di sicurezza, in quanto le persone che anticipano l’uscita dal carcere rispettando il patto sociale che stipulano con lo Stato mediante la misura alternativa sono naturalmente portate a non ricadere nel reato. Le domande di inasprimento del regime carcerario, in ossequio ad un malinteso concetto di “certezza della pena”, producono l’effetto paradossale di aumentare il tasso di criminalità del Paese. Questa è una verità controintuitiva che chi governa ha il dovere di capire in modo da essere in grado di farlo capire ai propri governati. In ogni caso le persone che, per effettive esigenze di sicurezza, devono scontare la pena in carcere vanno trattate con civiltà. E ciò anzitutto perché la civiltà è un dovere dello Stato per la evidente ragione che lo Stato non può diventare criminale come chi commette reati. Inoltre, anche per la popolazione detenuta vale il pragmatismo appena esposto per le misure alternative al carcere. È evidente, infatti, che il cittadino restituisce quello che riceve, per cui se riceve maltrattamenti (come avviene a chi sta stipato in celle di pochi metri quadri, con tante persone, senza servizi igienici adeguati, senza la possibilità di avere uno scampolo di vita propria e senza adeguata assistenza sanitaria) sarà naturalmente portato ad essere maltrattante, ossia ad essere aggressivo nei confronti della società esterna cui prima o poi sarà restituito.
Va dato atto che la riforma penale in fase di approvazione ha, per la prima volta dopo tantissimo tempo, invertito la tendenza carcerocentrica del nostro sistema penale, attraverso una rivisitazione del sistema sanzionatorio che pone al centro della fase esecutiva la civiltà delle sanzioni ed il recupero del reo.
Presidente Triggiani
L'istituzione carcere è in crisi da tempo, sia per il senso contrario ai diritti umani della misura ormai inefficace a qualsivoglia espiazione e rieducazione del detenuto, sia per le invivibili condizioni carcerarie che permettono la violazione massima dei diritti delle persone e diventano così una "seconda pena". Il carcere è diventato solo una necessità irrinunciabile per l'ordine sociale perdendo così i connotati originari; occorre investire in risorse che mirino agli effetti rieducativi della pena, uscire dalla visione carcero-centrica non consona ad una società post-moderna e puntare ad una giustizia riparativa più che punitiva, ideando anche strategie di intervento che mirino alla prevenzione extragiuridica dei reati.
Lunghezza dei processi: gli strumenti messi in campo dal PNRR e le riforme del procedimento penale e civile possono realmente cambiare le cose? La digitalizzazione può costituire un supporto utile alla riduzione delle tempistiche dei procedimenti e in che modo?
Presidente Nardo
Il problema della lunghezza dei processi è conseguenza della cattiva organizzazione e della penuria di risorse. Si tratta di un danno per la società, cui se ne aggiunge un altro: ossia la tendenza a velocizzare i processi tagliando segmenti essenziali del percorso di accertamento e di decisione dei fatti, invece che agire sui tempi morti. Gli strumenti messi in campo dal PNRR sono certamente utili a quest’ultimo scopo, in quanto consentono di aumentare le dotazioni personali e tecnologiche del sistema giustizia, nonché, con l’Ufficio per il Processo, ad avviare un nuovo paradigma di giudice capace di lavorare in team, con l’obiettivo di esaltare la parte nobile della sua attività di decisore. Purtroppo accanto a questo versante il PNRR ne ha percorso anche un altro, quello volto alla riforma delle procedure, sia penali che civili, ed il risultato non è soddisfacente. In entrambi i campi si è visto, e gli avvocati lo stanno lamentando, un assottigliamento delle garanzie procedurali nell’accertamento dei fatti, oltre che una forte tendenza dissuasiva verso ogni forma di impugnazione. In pratica i diritti cedono il passo alla velocità. Questo è sbagliato e non trova una spiegazione convincente, atteso che le sforbiciate processuali saranno inutili se, come si spera, lo sforzo operato sul piano delle risorse e dell’organizzazione umana e tecnologica riusciranno a decollare e a cogliere nel segno. Siamo reduci dall’emergenza pandemica, dalla quale speriamo di essere usciti e che ci ha dato modo di tastare la nostra capacità di adeguarci ai cambiamenti. Si trattava di una situazione temporanea, ma eravamo ben consapevoli del pericolo, poiché nel nostro Paese nulla è più definitivo del provvisorio.
Adesso il rischio si sta concretizzando, avendo preso piede nelle riforme i sistemi emergenziali del contraddittorio cartolare e del processo a distanza: due procedure che non possono nella normalità essere utilizzate nelle fasi cruciali dei processi, quelli in cui nel contraddittorio tra le parti si ricostruiscono i fatti e si costruisce la decisione.
Presidente Triggiani
La giustizia italiana ha una malattia che incide sulla lunghezza dei processi e sull'equo processo per tutti i cittadini: la malattia si chiama carenza di risorse. Dunque, senza iniezione cospicua di risorse sarà difficile tutelare in maniera giusta ed equa il cittadino che chiede giustizia. Molti tribunali italiani (soprattutto al Sud) sono sotto-organico da svariati anni, sia in termini di magistratura che di personale amministrativo: questo non permette alla giurisdizione di esercitare efficacemente il suo proprio ruolo, e penalizza anche i difensori che hanno sempre più difficoltà a spiegare ai cittadini che i processi infiniti non dipendono dalla loro attività. La digitalizzazione può aiutare, e gli avvocati hanno accolto il processo digitale nella loro attività quotidiana, ma non bisogna dimenticare che dietro uno schermo o un gestionale c'è sempre una persona, che se assente non permette al sistema di ottimizzare i tempi.