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Presidente, l’era COVID sembra segnare un’apertura senza precedenti a tutti i temi che riguardano la digitalizzazione. Come vede questo cambio di passo?
Inizierei usando la parola ‘finalmente’. Per chi, come noi, si occupa quotidianamente di innovazione e digitalizzazione, è un piacere vedere questi temi associati a delle opportunità e non visti come un ‘rischio’. È vero che questo è accaduto a causa di una tragedia come la pandemia da COVID-19, di cui avremmo naturalmente fatto a meno. Ma, se non altro, nell’emergenza vediamo un’occasione positiva di cambiamento.
Rimane chi vede l’avanzare della tecnologia come una “disruption”, detto in tono negativo: la distruzione di parte del valore che prima si creava. È d’accordo?
Il termine ‘disruption’ assume un senso negativo solamente quando gli operatori, in ogni settore, non sono preparati a cambiare e si pongono immediatamente sulla difensiva. Al contrario, la sfida dell’innovazione si vince solo cavalcandola e coinvolgendo tutti gli attori in un dato settore. Non solo i cosiddetti nativi digitali, ma anche coloro che operano da prima devono attuare un ‘reskilling’, necessario per rimanere competitivi.
Come calerebbe specificatamente questo discorso al mondo legale?
Nel caso del mondo legale, due esempi evidenti sono intelligenza artificiale e blockchain, che possono semplificare alcune operazioni prima considerate impossibili da rendere più semplici. E certo non sono destinate a sostituire gli avvocati: a monte e a valle dei processi rimangono sempre le persone e la loro creatività e capacità di analisi. Quello di cui abbiamo bisogno è un Paese molto più moderno e molto più veloce, e sappiamo che il nostro sistema giudiziario è uno dei punti critici in questo senso. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza mette la Riforma della giustizia tra i temi principali: non bisognerà mollare il colpo ma portare a casa un vero miglioramento.
In che modo?
Il cambiamento deve essere prima di tutto culturale: gli strumenti sono a disposizione, quello che serve è un cambio di approccio nei loro confronti. Digitalizzare non significa applicare le nuove tecnologie a processi vecchi. Processi e procedure devono essere completamente ridisegnati sulla base di nuovi criteri di efficienza, semplicità, velocità. In Italia c’è una divisione tra poche imprese di grandi dimensioni che intercettano immediatamente l’innovazione, e tante piccole e medie imprese che, pur essendo di depositarie di un know-how importante, faticano ad inserirsi in questo trend. Nel mondo legale abbiamo una situazione simile. Gli investimenti in tecnologia coinvolgono la quasi totalità dei grandi studi, mentre gli studi più piccoli sono molto più conservatori in questo senso. Ma la curiosità per il nuovo c’è: tra i professionisti, secondo i dati che abbiamo, gli avvocati sono quelli che più si sono affidati ai canali social.
In definitiva, quindi, è ottimista in ottica Ripartenza?
In un certo senso siamo costretti ad essere ottimisti. La riforma della giustizia a cui accennavo prima, ad esempio, dobbiamo leggerla come una grande opportunità anche per sbloccare molti investimenti stranieri. Sappiamo che essere visti come un Paese nel quale le controversie legali non si risolvono in fretta frena molti capitali. Dobbiamo essere in grado di cambiare questa immagine.