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Un primo modello noto al mercato italiano è quello delle classiche operazioni di distressed M&A o special situation, realizzate, tipicamente per cassa, con riguardo a società, singoli asset o compendi aziendali distressed da parte di investitori finanziari oppure player industriali che vedano nell’acquisizione potenzialità di consolidamento o aggregazione.
Accanto al modello tradizionale di cui sopra, negli ultimi anni si è imposto sul mercato lo schema delle operazioni di turnaround “complesso”, che si sono sviluppate di pari passo con l’emergere e il consolidarsi di un mercato secondario dei crediti corporate UTP (i.e., esposizioni classificate come inadempienze probabili – unlikely to pay) e, non-performing (NPL).
Tali operazioni, i cui principali attori sono i fondi di turnaround / alternative lending hanno un’architettura composita e tipicamente prevedono (a) l’acquisto di una porzione dell’indebitamento finanziario della (o delle) società target, (b) l’erogazione di nuove disponibilità finanziarie (se del caso, anche finanza interinale) a supporto dell’intervento di restructuring, e (c) la ripatrimonializzazione della società target, eventualmente anche attraverso la conversione in capitale di una porzione dei crediti finanziari acquisiti dall’investitore, con l’obiettivo di ottenere le leve di governance per implementare il piano sottostante al progetto di risanamento.
L’arco di investimento di un operatore di turnaround, dunque, è scandito in una serie articolata di fasi successive, illustrate in estrema sintesi di seguito:
a. on-boarding (i.e. acquisto) del credito o del portafoglio, realizzato attraverso veicoli di cartolarizzazione o fondi di investimento alternativi e a fronte del pagamento di un corrispettivo in denaro (operazioni per cassa) e/o di un prezzo corrisposto, in tutto o in parte, attraverso l’emissione di strumenti finanziari il cui rimborso o rendimento sia funzione dei flussi di cassa generati dalla società target debitrice;
b. partecipazione al processo di ristrutturazione, attraverso la negoziazione con la società, i soci, gli altri stakeholder e il ceto creditorio finalizzata a individuare un percorso di risanamento incardinato in uno degli schemi previsti dalla legge fallimentare e fondato su un piano industriale e una manovra finanziaria le risorse necessarie all’implementazione della quale siano messe a disposizione dall’investitore;
c. erogazione di nuove risorse finanziarie e ricapitalizzazione della società, fase in esito alla quale l’investitore tipicamente diviene azionista (frequentemente, di controllo) della società debitrice;
d. riorganizzazione societaria e industriale della società debitrice in esecuzione del piano di risanamento, anche attraverso il ricorso a ulteriori operazioni straordinarie (e.g., operazioni di fusione tra società del gruppo, liquidazione di società inattive, operazioni di dismissione di attivi non strategici, etc.);
e. eventuale attività di manutenzione del piano di risanamento in corso di esecuzione, ove sia necessario in ragione di scostamenti;
f. gestione dell’exit in esito al compimento del percorso di risanamento, tipicamente realizzata attraverso la cessione sul mercato della partecipazione (ovvero, meno frequentemente, attraverso la quotazione in borsa) ne, e il rifinanziamento dell’esposizione finanziaria de, la società debitrice.
In conclusione, si espone qualche brevissimo spunto per individuare (senza, evidentemente, alcuna ambizione di completezza, considerate le finalità del presente contributo) taluni profili potenzialmente produttivi di responsabilità lungo i principali snodi in cui si articola l’arco di intervento dell’investitore, tenendo a mente che taluni di essi traggono origine, oppure sono amplificati, dalla circostanza che, frequentemente, l’operatore di turnaround assomma lo status di creditore (spesso, maggioritario o in ogni caso, con una share of wallet significativa) al ruolo – a seconda dello stadio dell’intervento, prospettico ovvero attuale – di investitore e/o azionista della società debitrice.
Durante la fase negoziale con la società debitrice e gli altri creditori sono due i principali aspetti che vengono in rilievo:
a. gli obblighi di comportamento secondo buona fede nella conduzione delle trattative, nella duplice dimensione de:
i. la correttezza e lealtà nella partecipazione, in veste di creditore, alle trattative con il debitore; a tal riguardo, pare utile sottolineare come la recente disciplina in materia di composizione negoziata della crisi introduca un riferimento esplicito all’obbligo di “partecipare alle trattative in modo attivo e informato” declinato specificamente con riguardo a, tra gli altri, i “cessionari [dei crediti di origine bancaria]”; e
ii. la correttezza e buona fede nella conduzione delle trattative con la società e gli altri creditori finalizzate all’individuazione di un percorso di risanamento che possa essere finanziato dall’investitore; a tal riguardo, di particolare attenzione sono le tematiche relative all’ingenerarsi di affidamento da parte della società debitrice (ed, eventualmente, degli altri creditori) circa l’effettivo intervento dell’investitore nel contesto del percorso di risanamento identificato e la potenziale responsabilità del medesimo, perlomeno a titolo di culpa in contrahendo, nell’ipotesi in cui la mancata concretizzazione dell’intervento possa farsi rientrare nell’alveo della rottura ingiustificata delle trattative; nonché
b. la valutazione ed eventuale gestione dei potenziali profili di conflitto di interessi del creditore/potenziale investitore, che potrebbero articolarsi tanto nel rapporto con la società debitrice che con riguardo agli altri creditori finanziari e potrebbero avere implicazioni di particolare rilevanza, tra le altre, con riguardo al classamento del credito.
Nella fase interinale in cui, identificato un possibile percorso di risanamento, si dà avvio alla definizione di un piano e impulso al complesso di attività finalizzate al processo di restructuring, il principale elemento di criticità nella prospettiva dell’investitore sta nell’accorta considerazione della linea di demarcazione tra, da una parte, il coinvolgimento fisiologico nello sviluppo del piano, anche attraverso la ricezione di flussi informativi articolati e, dall’altra, attività di indirizzo (e.g., attività di autorizzazione o sollecitazione al compimento di determinati atti) che sconfinino nell’interferenza o ingerenza gestoria e, dunque, aprano – nel caso di insuccesso dell’iniziativa di risanamento – all’affermazione di responsabilità in capo all’investitore a vario titolo, incluse le fattispecie dell’amministrazione di fatto, dell’induzione all’inadempimento e dell’eterodirezione.
Da ultimo, vale poi menzionare il catalogo di potenziali profili di responsabilità legati all’erogazione di nuove disponibilità finanziarie alla società debitrice, in particolare, con riferimento alle fattispecie di aggravio del dissesto, anche sub specie della concessione abusiva di credito, e alle conseguenti responsabilità risarcitorie nonché con riguardo ai potenziali rischi di postergazione (equitable subordination) delle ragioni di credito dell’investitore.
Una chiosa conclusiva: sarà di particolare interesse verificare l’impatto del complesso di norme e istituti di recente o imminente introduzione sul mercato secondario dei crediti UTP e con riguardo all’implementazione di strategie loan-to-own ovvero di repossession e, più in generale, quanto alle dinamiche negoziali tra investitore e società debitrici.