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Con la sentenza n.23818 del 29/5/2019, la terza sezione della Cassazione Penale è tornata sul tema della gestione e del trasporto abusivo di rifiuti, ribadendo alcuni elementi utili per valutare la sussistenza o meno della condotta illecita da parte del trasportatore e la legittimità della confisca ai danni del terzo proprietario del mezzo.
All’uopo si specifica che, riguardo al reato di cui all'art. 256, comma 1, d.lgs. 152/06, la giurisprudenza della Corte ha più volte chiarito che la condotta sanzionata è riferibile a chiunque svolga, in assenza del prescritto titolo abilitativo, un’attività rientrante tra quelle previste dagli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 del medesimo decreto, senza avere conseguito uno dei titoli abilitativi indicati e che non sia caratterizzata da assoluta occasionalità (Cass. Pen., sez. III, n. 29992 del 24/6/2014).
In merito alla sussistenza di quest’ultimo elemento, la giurisprudenza della Corte ha stabilito che l’occasionalità sia da escludersi in ragione dell'esistenza di una minima organizzazione dell'attività, del quantitativo e della eterogeneità dei rifiuti gestiti, delle caratteristiche del rifiuto quando risultino indicative di precedenti attività preliminari (prelievo, raggruppamento, cernita), della predisposizione di un veicolo adeguato e funzionale al trasporto dei rifiuti, del fine di profitto perseguito dall'imputato (Cass. Pen., sez. III, n. 5716 del 7/1/2016; Cass.Pen., sez. III, n. 36819 del 4/7/2017; Cass.Pen.; sez. III, n. 31387 del 27/4/2018; Cass.Pen., sez. III, n. 31396 del 11/5/2018).
Nel caso di specie, la non occasionalità della condotta è stata desunta dalla eterogeneità dei rifiuti trasportati, tutti costituiti da rottami ferrosi, preventivamente sottoposti ad attività di cernita.
All’accertamento della sussistenza del reato consegue la pena accessoria della confisca. Come reiteratamente affermato dalla giurisprudenza della Corte, il mezzo da confiscare deve appartenere all'autore del reato e, pertanto, nel caso in cui, invece, appartenesse a un terzo estraneo al reato, la confisca non può essere disposta, sempre che nei confronti del proprietario non sia individuata la violazione di obblighi di diligenza e che risulti la buona fede, intesa quale assenza di condizioni che rendano probabile a suo carico un qualsivoglia addebito di negligenza da cui sia derivata la possibilità dell’uso illecito della cosa e senza che esistano collegamenti, diretti o indiretti, ancorché non punibili, con la consumazione del reato (Cass.Pen., sez. III, n. 33281 del 24/6/2004; Cass.Pen., sez. III n. 44837 del 7/11/2007; Cass.Pen., sez. III, n. 26529 del 20/5/2008; Cass.Pen., sez. III, n. 12108 del 18/11/2008; Cass.Pen., sez. III, n. 20935 del 11/3/2009).
Si è ulteriormente precisato come gravi sul terzo proprietario estraneo al reato l'onere di una rigorosa dimostrazione di non essere stato a conoscenza dell'uso illecito del mezzo o che tale uso non era collegabile ad un proprio comportamento negligente, al fine di ottenere la restituzione del mezzo ed evitare la confisca. Secondo la Corte, in tali casi, la dimostrazione richiesta al terzo proprietario non configurerebbe un'ipotesi di inversione di onere della prova, che la legge penale non consente, poiché non riguarderebbe l'accertamento della responsabilità penale (Cass.Pen., sez. III n. 22026 del 29/4/2010; Cass.Pen., sez. III, n. 46012 del 4/11/2008; Cass.Pen., sez. III, n. 26529 del 20/5/2008; Cass.Pen., sez. III, n. 33281 del 24/6/2004).
Quindi la Corte ha ribadito, in tema di illecita gestione dei rifiuti, la seguente massima: “al fine di evitare la confisca obbligatoria del mezzo prevista per il trasporto in assenza di valido titolo abilitativo dall'art. 259, comma secondo, d.lgs. 152/06, incombe al terzo estraneo al reato, individuabile in colui che non ha partecipato alla commissione dell'illecito ovvero ai profitti che ne sono derivati, l'onere di provare la sua buona fede, ovvero che l'uso illecito del mezzo gli era ignoto e non collegabile ad un suo comportamento negligente”.