30 Agosto 2021

Il Fisco ed i Collezionisti d’opere d'arte: quali i criteri per individuarli?

MATTEO ESPOSITO

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Abstract

Nell’attuale contesto normativo, non è previsto che l’eventuale guadagno ritratto da un privato collezionista d’opere d’arte a seguito della cessione di un bene facente parte della sua personale collezione, sia, in linea di principio, soggetto all’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF).

Per poter addivenire a questa conclusione, tuttavia, è necessario procedere ad un’attenta analisi fattuale volta a dimostrare che detta cessione rappresenti una mera operazione di dismissione patrimoniale e non, invece, che sia “sintomatica” dell’esercizio di un’attività intermediaria nella circolazione di beni e dunque dello svolgimento di un’attività commerciale.

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Il mercante d’arte, il venditore occasionale ed il collezionista – il “trittico” tributario

Non sono mancati, nel corso degli anni, avvisi di accertamento atti a riqualificare i guadagni ritratti dai privati a seguito della vendita d’opere d’arte come componenti di reddito imponibili ai fini IRPEF, nel presupposto dell’asserita esistenza di elementi fattuali comprovanti lo svolgimento di un’effettiva attività commerciale.

I numerosi contenziosi scaturenti da tali accertamenti hanno avuto il pregio di stimolare i giudici tributari, la prassi dell’amministrazione finanziaria e la più autorevole dottrina, nell’addivenire alla definizione di un “trittico” di “figure giuridiche” a cui associare, come regolare generale, uno specifico trattamento tributario dei proventi scaturenti dalla cessione delle opere cedute:

  1. Il mercante d’arte, ossia quel soggetto che professionalmente ed abitualmente svolge un’attività di intermediazione nella circolazione d’opere d’arte, acquistandole con il fine di rivenderle sul mercato e di trarne un guadagno.
  2. Il venditore occasionale, ossia quel “mercante d’arte” che seppure professionalmente svolga un’attività di intermediazione nella circolazione d’opere d’arte, non la esercita in modo abituale;
  3. Il collezionista, ossia quel soggetto che acquista opere d’arte solo al fine di arricchire la sua personale collezione di opere, il quale potrebbe ritrovarsi ad eseguire sporadiche cessioni di parte del suo personale patrimonio artistico.

 

Principali implicazioni fiscali

Come regola generale, pertanto, a seconda della qualificazione del venditore nelle tre casistiche appena trattate, i proventi ritratti dalla dismissione delle opere d’arte potrebbero essere assoggettati a tassazione con le seguenti modalità:

  1. cessione dell’opera posta in essere da un mercante d’arte: gli eventuali profitti ritratti, in quanto rientrati nell’ambito dell’esercizio di un’attività commerciale condotta professionalmente ed abitualmente, saranno considerati redditi d’impresa ex art. 55 del D.P.R. 917/1986[1] e pertanto soggetti ad IRPEF;
  2. cessione dell’opera posta in essere da un venditore occasionale: gli eventuali profitti ritratti, seppur rientranti nell’ambito dell’esercizio di un’attività commerciale condotta professionalmente, mancando il requisito dell’abitualità con cui detta attività viene svolta, saranno considerati redditi diversi ex art. 67, comma 1, lettera i) del D.P.R. 917/1986[2] anch’essi soggetti ad IRPEF;
  3. infine, cessione dell’opera posta in essere da un collezionista privato: i profitti ritratti rappresentando una mera operazione di dismissione di parte del proprio patrimonio personale e non, invece, l’esercizio di un’attività intermediaria nella circolazione di beni (neanche esercitata occasionalmente), non assumeranno rilevanza reddituale e pertanto non saranno soggetti ad IRPEF

 

Criteri di individuazione del Collezionista ai fini della normativa tributaria

Come anticipato nell’abstract ed a seguito di quanto esposto nel paragrafo precedente, al fine di poter affermare che gli eventuali guadagni ritratti dal collezionista a seguito della cessione di parte del proprio patrimonio artistico non assumano rilevanza reddituale, è necessario procedere ad una cauta analisi fattuale tesa, tra l’altro, ad escludere la presenza di indicatori “sintomatici” della natura commerciale dell’attività svolta.

A tal proposito, la giurisprudenza nel corso degli anni è arrivata ad individuare – tra i tanti – come indicatori “sintomatici” della natura commerciale dell’attività svolta le seguenti ricorrenti fattispecie:

  1. la preordinazione dell’atto di acquisto dell’opera alla sua successiva rivendita (cfr. Cass. n. 21776/2011);
  2. la regolarità, sistematicità e ripetitività con cui il soggetto realizza operazioni di vendita delle opere d’arte (cfr. C.T.R. Reg. Firenze n. 826/31/16);
  3. il ridotto lasso temporale intercorrente tra l’acquisto e la successiva vendita dell’opera (cfr. C.T.R. Toscana, n. 101/17/2005 e C.T.R. Torino n. 1412/3/2018);
  4. il numero significativo di cessioni eseguite (cfr. C.T.R. Trentino Alto-Adige n. 72/2013);
  5. il compimento di una sequela di atti volti ad incrementare il valore dell’opera in ragione della successiva prospettata vendita (cfr. Cass. 21776/2011);

Pertanto, ove non fosse riscontrata la presenza di tali “indicatori di commercialità”, la cessione dell’opera potrebbe essere valutata come una mera dismissione di parte del patrimonio personale del collezionista e, di conseguenza, non sarebbe ardito escludere la rilevanza reddituale degli eventuali guadagni ritratti dalla transazione.

 

[1] L’art. 55 del D.P.R. 917/1986, prevede che: “sono redditi d'impresa quelli che derivano dall'esercizio di imprese commerciali. Per esercizio di imprese commerciali si intende l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate nell'art. 2195 c.c. […]”, tra cui, appunto – cfr. art. 2195, comma 1, n.2) -: “un'attività intermediaria nella circolazione dei beni”.

[2] L’art. 67, comma 1, lettera i) del D.P.R. 917/1986, prevede che siano considerati redditi diversi: “i redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente

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